LA CRITICA E LE PUBBLICAZIONI SULLA RICERCA ARTISTICA

28.02.2013 22:23

LA CRITICA

 
 

       GLI ANNI ’70 E ‘80

       Il periodo astratto-costruttivista

 

Renato Tomasina   1979

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Cocchi per vie più semplici ma non meno importanti, affronta il problema dell’arte, risolvendolo con un ritmo pittorico, geometrico, spaziale, matematico.

Cocchi è poeta nell’intrisa   tavolozza, ha pochi ma sostanziali colori, è poeta la dove unisce silenzio e mistero, la dove lo spazio accoglie l’unicità di forme, dove il colore unico celebra il contrasto enigmatico fra ombra e luce, rifiutando cioè totalmente l’elemento scenografico che è nella pittura cui siamo generalmente abituati.

Ma le sagome modulate delle sue realizzazioni donano  immediatamente la percezione delle presenze di infiniti sottintesi, nella acrobazia del pensiero e della fantasia.             

 

Gino Traversi    1980

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Apprezzabili le larghe stesure di Pierluigi Cocchi, contrassegnate  da  una  vena  di  sottile poesia.     

 

Pasqualino Colacitti

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Il giovane artista della F.A.S. parte da una esperienza culturale astratto-costruttivista alla Max Bill, ma rielabora il gioco matematico delle triangolazioni riuscendo a costruire armoniosi equilibri, pur nell’apparente asimmetria degli spazi e delle figure geometriche, tra cui il triangolo gioca da dominante assoluto. Costruisce le figure piane con estremo  rigore, così come da anche quando usa il filo teso tra chiodi fissati ai bordi del telaio, ma senza cadere in un arido formalismo geometrico, bensì esaltando il colore pulito ed intenso con un linguaggio armonioso che tocca la qualità  lirica  della  poesia.

       

       GLI ANNI ’80 e '90

      In bilico tra astratto e figurativo

        

        Pasqualino   Colacitti 

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Il giovane artista,  inizialmente  figurativo – espressionista, subì il fascino dell’astratto   realizzando   triangoli isolati in ampi spazi  in equilibrio su corde tese sovrastate da pesi musicali e raffinatamente tonali; quindi lacerò le figure piane inserendole in una spazialità bidimensionale,  dai colori  esaltanti e solari.

Oggi costruisce  - “TOTEM” -  lignei tridimensionali, componendoli dinamicamente in una verticale ascensione con un cromatismo fauve, inserendo immagini della realtà quotidiana; quasi “appunti per un diario mentale quotidiano”.

 

Stefano Rampoldi

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Nel caso di Cocchi non cogliere la valenza semantica degli oggetti prescelti è  pressochè impossibile. Nelle sue sculturine in legno colorate ad olio, ma il tema è ripreso anche in numerosi disegni, la composizione è strutturata in modo rigoroso: un segnale stradale, uno specchietto retrovisore, scampoli di paesaggio naturalistico dentro lo specchietto medesimo, elementi di scultura astratta veri e propri al centro della composizione sempre longilinea e filiforme.

Siamo schiavi di una civiltà dei semafori, dei divieti, degli stop? Sembrerebbe di si ma tutto è reso con colori chiari e vivaci, e viene solo da chiedersi  se questa allegria, piuttosto che come ottimismo di fronte al moderno, non vada piuttosto letta all’insegna della rassegnazione ironica e del disincanto.

 

      GLI ANNI '90

La fusione tra pittura e scultura

 

Roberto Marchi

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Il percorso di Pierluigi Cocchi è quanto mai composito: dagli inizi segnati dall’esperienza figurativa espressionista è pervenuto all’astrattismo geometrico, per poi con una     scelta carica d’intenzionalità innovativa, trascendere la dimensione del dipinto su tavola o su tela, approdando ad una felice fusione tra pittura e scultura.

Sono così nati i  “TOTEM “ che costituiscono la sua  attuale dimensione artistica, in cui la

convenzionalità del quadro in cornice è stata superata per liberare l’oggetto d’arte nello  

spazio,  imponendo una verticalità reale e nel contempo simbolica.

Come non pensare agli stilemi figurativi ed oggettuali cui l’artista romagnolo si è (forse con processi inconsapevoli)  ispirato, rivisitando le stele della preistoria europea i totem della civiltà nativa dell’America settentrionale, le statue lineari di antiche civiltà africane, gli scudi dei polinesiani, le complesse lance da cerimonia e i segni di comando di etnie di più’ continenti.

II  totem sono costruiti con un lieve, sapiente gioco di incastri, in cui il ritmo compositivo  assume la sua pregnanza nell’alternanza di piani e linee, di superfici  colorate e figurazioni.

Gli spazi vuoti sono voluti come elementi indispensabili all’armonia del significante e come finestre aperte alla partecipazione dello spazio d’intorno alla fisicità  dell’oggetto d’arte.

Se i vari contesti artistici cui Cocchi si è riferito  hanno prodotto oggetti simbolo – che hanno ormai compiuto - nei rispettivi diversissimi contesti cronologici e vitali, il loro ciclo evolutivo, i suoi totem sono – oggetti simbolo - della civiltà contemporanea in perenne divenire

La molteplicità complessa della modernità è direttamente chiamata in causa dalle numerose  - altre – citazioni presenti nelle sue opere, arricchite di feticci tecnologici, di oggetti della quotidianità e della ripresentazione  puntuale e non drammatizzata  del rapporto città/campagna.

Se i totem di Cocchi rimandano sempre ad una polinesia, anche gli elementi utilizzati sono plurimi: legno, metallo e altri materiali sono assemblati in una felice compresenza.

In questo contesto plurimaterico la gamma cromatica propone le valenze della solarità, ricercati con tonalità che sanno decantare la frenesia del vivere d’ogni giorno.

I totem di Pierluigi Cocchi costituiscono un  felice esempio di figurazione inserita a pieno

titolo nella contemporaneità, che poggia però le sue basi nella cultura di secoli ed etnie differenti.                                        

              

Barbara Mazzoleni

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Gli originali “Paesaggi  metropolitani”   dell’artista  romagnolo Pierluigi Cocchi sono esposti fino all’11 dicembre allo studio  2B Boggi Arte.  Nelle sue “sculture-pitture “ in legno industriale, verdi paesaggi della memoria e simboli del contesto urbano si aprono come squarci improvvisi, allucinati dai gialli, blu, verdi e arancioni di oli e acrilici, in singolari totem che, nati da un gioco di incastri nel legno, disegnano un percorso verticale che taglia lo spazio all’infinito.                                                                      

 

          Franca Galimberti

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 La sua arte esprime l’equilibrio della sintesi fra opposti che si conciliano. Nella vita e sulla tela. Pierluigi Cocchi si pone fra astratto e figurativo, fra modernità e tradizione, risolvendo  l’eterna lacerazione in una summa serena e appagante.

Romagnolo di nascita, risiede da trent’anni a Seregno,  nella verde Brianza, dove lavora come progettista d’arredamento d’interni.

La sua avventura artistica inizia nel 1966, quando si dedica al disegno figurativo totale. Suo maestro è il pittore bolognese Alfonso Frasnedi;  nel 1973 entra in contatto con Sergio Dangelo, (fondatore assieme a Enrico Baj del movimento nucleare) grazie al quale, due anni più tardi, conosce Max Huber.  Negli anni Settanta Cocchi si dedica ad una serie di tele su fatti di cronaca, in cui la tragedia è rappresentata con l’astratto e il colore. In “Diossina Seveso’76”, per esempio, su una tavola dal colore  pulito e intenso l’equilibrio è retto da un triangolo rosso che poggia su un filo, interrompendo senza spezzare l’ideale continuità della vita. Cocchi è poeta dell’essenziale, delle pianure infinite di colore, così arioso e sostanziale.

La personale ricerca dell’artista avviene negli anni Ottanta, quando Cocchi, intendendo dare un’incesività maggiore alle proprie creazioni, approfondisce l’esperienza astratto-costruttivista alla Max Bill, rielaborando il gioco geometrico con l’esaltazione intensa del colore, il grande protagonista dei suoi lavori. Fanno capolino le “strade”, metafore del percorso della vita, antesignane dei suoi originali e bellissimi “totem”, felice connubio fra pittura e scultura, dove irrompe la frenesia del mondo contemporaneo, con i numeri, le case, i passaggi a livello, i segnali stradali, le inserzioni pubblicitarie, ma anche la serenità dei paesaggi tanto cari all’artista. Si stabilisce così un’intima comunione fra città e campagna, fra la quotidianità frettolosa, spesso superficiale e banale, e la profondità spirituale dell’uomo. L’assoluta modernità di questi oggetti d’arte, che si librano in uno spazio filiforme non costretto da alcuna cornice, comprende in sé come un’alcova inconsapevole la storia del’’America settentrionale, dell’Africa, in un bouquet di culture lontane e millenarie. Cristo e la sua arte diventa quasi un Vangelo che viene portato sulle strade.

Negli ultimi lavori, i cosiddetti “grattacieli”, si passa alla tridimensionalità evidente, al contesto plurimaterico ravvivato dalla solarità del colore dalle tonalità fauves: nasce l’alchimia di un’incredibile fusione fra elementi diversi. La “strada” originaria è parte di un tutto, dove la bellezza delle cose non fa ignorare la tragedia e la sofferenza della società.

L’astrattismo delle strutture di Cocchi, dal respiro verticale ed ascetico, è paradossalmente un ancora alla realtà della vita.                    

 

Teodosio Martucci

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Proviene dal mondo razionalista del design e dell’architettura Pier Luigi  Cocchi che mediante    

raffinate composizioni legnico-pittoriche infonde una lucida compenetrazione di fantasia e logica

alle sue creative elaborazioni

 

      GLI ANNI  2000 e 2013

      I paesaggi metropolitani le vetrine e il degrado

 

           Giulrepi

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         Quanto mai composito il lavoro dell’artista  Pierluigi Cocchi. Romagnolo di nascita, risiede e                        lavora  dal 1974 a Seregno in provincia di Monza e Brianza.

         Dagli iniziali anni ’70 segnati dall’esperienza figurativa espressionista  al  passaggio astrattista   

degli anni ‘80 quando per vie semplici, ma non meno importanti, ha affrontato il problema dell’arte risolvendolo con un ritmo pittorico, geometrico, spaziale, matematico, venato di sottile poesia dove il colore unico celebrava il contrasto enigmatico fra luce e ombra.

Negli anni ’90  è pervenuto, con una scelta carica di intenzionalità innovativa, trascendendo la dimensione del dipinto su tavola o su tela a una felice fusione tra pittura e scultura, tra astratto e figurativo. Sono così nati i “TOTEM” costruiti con lieve e sapiente gioco di incastri, dove il ritmo compositivo assume la sua pregnanza nell’alternanza di piani e linee, di superfici colorate.

Un felice connubio dove irrompe la frenesia del mondo contemporaneo.

Questa nuova dimensione astratto-figurativa permette all’artista di affrontare e focalizzare tramite la sua arte i problemi della società contemporanea specie laddove il divario tra ricchezza e povertà si fa evidente e drammatico.

Se prima, nei suoi Totem e nei suoi paesaggi francesi, appariva un divieto come monito di  “VIETATO, NON SI PUO’ DISTRUGGERE” ora nei suoi ultimi lavori “MANIFESTI METROPOLITANI” e “MURI METROPOLITANI” quel divieto si fa ancor più pressante  e monito assoluto.

In questi lavori il rapporto fra ricchezza e povertà è  evidente ed esplicito.

Gli elementi verticali colorati rappresentano i grattacieli delle grandi metropoli a fianco di facciate di palazzi cittadini compaiono  manifesti pubblicitari con

visi di graziose ragazze invitanti, in basso vetrine di negozi d’alta moda

attraenti quasi a dire prendimi acquistami sei mio “schiavo”, sui marciapiedi figure accasciate, ferite, stuprate, malmenate in poche parole “schiave”. 

La solitudine metropolitana dove tutto è ma dove molti non possono più ottenere.

Richiami della pubblicità, richiami all’acquisto ad ogni costo, consumare apparire, essere.

Nuove forme di schiavitù, sottile ironia, verità contemporanee.

Muri metropolitani con i loro graffiti, manifesti con sguardi nel vuoto e perplessi, i colori delle città moderne piene di vita e di certezze e incertezze,

culture diverse primordiali storie lontane di culture lontane si fondono nella civiltà contemporanea. Si incontrano si scontrano si amalgamano.

Un lavoro chiaro e luminoso quello del romagnolo Cocchi che però ci pone dinnanzi a forti riflessioni e a una profonda meditazione.